Mia nonna si chiama Elisena. È l’unica persona al mondo che conosco con questo nome. Ultima di dieci figli è rimasta orfana di madre all’età di un anno. Mangiava poco. Pane, polenta, formaggio, patate, noci, lardo e i frutti che trovava nel bosco dove andava a piedi scalzi perché scarpe non ne aveva. A dieci anni perse anche il padre. Ha frequentato solo la prima elementare e fino a quando non sposò mio nonno visse in diversi luoghi tra i monti dell’Appennino tosco-romagnolo; in case di lontani parenti o amici disposti a darle temporaneamente vitto e alloggio in cambio di lavoro. Oggi mia nonna ha 83 anni e la vedo poco. Mi ha cresciuto e insegnato tante cose: l’educazione, il rispetto, la semplicità ma soprattutto il valore delle cose e delle risorse.
Mia nonna mi svegliava al mattino con una carezza, mi vestiva e mi portava con sé a fare la spesa. A piedi. Al negozio di alimentari comprava pane fresco ancora caldo, involtato nella carta paglia, marrone e sottile, qualche affettato, zucchero, latte e farina. Ingredienti base con cui lei faceva mille cose: dolci, sfoglie, pizze. Poi, dal macellaio: “Due etti di fettine di filetto, tenere! Mi raccomando.” E io, durante quella che a me, piccolo e timido con il mio dito in bocca, sembrava un’attesa interminabile, mi guardavo attorno in un silenzio rotto solo dai tonfi sordi ed energici che il macellaio faceva spezzando ossa o schiacciando le fettine con il mortaio. Le voci lamentose delle signore anziane che aspettavano in fila rimanevano un brusio indecifrabile e remoto per le mie orecchie distratte.
Inorridito e affascinato allo stesso tempo guardavo i conigli spellati e le teste di agnello, i fegatini, i polli e i pezzi di carne esposti in modo ordinato sul bancone protetto dal vetro. Una vera e propria boutique della carne. Da un angolo appartato riuscivo a scorgere addirittura la stanza dove il macellaio capo, un omone grande e grosso di nome Aldo, con maestria e abilità tagliava a pezzi maiali appesi ai ganci, usando coltelli che ai miei occhi sembravano spadacce da pirata.
Per la strada di ritorno, trotterellavo intorno a mia nonna e finalmente ci fermavamo all’ultima sosta. Quella da Carlino e Bianca, i fruttivendoli. Mele, pere, banane. L’insalata no. Quella era nell’orto come dice la canzone di Maramao, insieme a zucchine, pomodori, cavoli e cardi a seconda della stagione. Delizie che mi divertivo a cogliere insieme a lei e di cui ancora sento il profumo genuino e verace. Mia nonna comprava solo quello che le serviva e le buste di plastica della spesa, non ancora vietate, le usava più volte. Il suo frigorifero e la sua dispensa erano sempre semi vuoti ma a pranzo e a cena non mancava mai da mangiare: primo, secondo, contorno, frutta. La mia merenda la preparava lei, con le sue mani ruvide. Pane e marmellata, pane e pomodoro, un frutto. Niente merendine preconfezionate.
A quei tempi non si effettuava ancora la raccolta differenziata ma in casa di mia nonna c’erano pochissimi rifiuti. I vasetti di vetro venivano riutilizzati per le conserve di pomodoro e non si sprecava cibo. I tovaglioli erano di stoffa, l’acqua era quella del rubinetto, servita in una caraffa di vetro senza manico. E quando a sorpresa compariva sul tavolo l’idrolitina bevevo acqua a più non posso e diventavo effervescente nell’anima e nell’intestino. Con mia nonna ero felice in quella casa povera di mobili e di oggetti. Dove le luci venivano accese solo quando servivano, il riscaldamento azionato con moderazione e i rubinetti aperti con parsimonia. Una casa dove gli elettrodomestici che non funzionavano venivano riparati. Mia nonna non mi portava ai centri commerciali ma ai giardinetti o a fare passeggiate sulle strade di campagna o all’orto dove ho imparato a distinguere un pomodoro cuore di bue da un sammarsano e dove ho visto come sono i polli prima di essere trasformati in cordon bleau.
Inconsapevolmente ho fatto miei quei comportamenti di mia nonna. Comportamenti che oggi cerco di recuperare e di insegnare ai miei marmocchi. Per far riprendere fiato al nostro pianeta basterebbe infatti che quelli della mia generazione, vicini agli ‘anta, si ricordassero del modo in cui i nostri nonni ci hanno allevato. Semplicità dei consumi, rispetto delle risorse energetiche, della natura e degli animali perché è da questi che dipende la nostra sopravvivenza. Io ho iniziato e vado a far spesa a piedi, come mia nonna, con il carrellino e se il cibo avanza, lo metto in frigo per il pasto successivo. A mia nonna voglio veramente bene.